Il 12 aprile scorso si è svolta a Torino una giornata di analisi, divulgazione e formazione sul crowdfunding, promossa da Università di Torino (Economia), Fondazione ITS per l’ICT Regione Piemonte e Italian Crowdfunding Network.

Il programma dell’appuntamento, di cui abbiamo dato notizia in questo sito, ha toccato aspetti tecnici, normativi, ideali di questo nuovo modello di finanziamento di iniziative imprenditoriali.  Presenti in due momenti di lavoro – la mattina al nuovo Campus Luigi Einaudi, il pomeriggio alla Piazza dei Mestieri – istituzioni accademiche, finanziarie e non profit per discutere scenari di applicazione e possibilità di sviluppo.

All’apertura dei lavori, la sterminata Aula Magna del CLE era zeppa e l’interesse altissimo. Il pubblico si è contato per alzata di mano, fra quanti fossero alla ricerca di risorse finanziarie per un loro progetto e quanti cercassero un progetto in cui investire. Ed ecco la scoperta, che i promotori dell’incontro non si aspettavano: almeno un terzo di presenti si candidava a fare il finanziatore.

Al centro dei lavori l’azione della Consob, impegnata a scrivere un regolamento per le piattaforme italiane di crowdfunding cosiddette equity-based, che mutuano le modalità di investimento speculativo adattandole a soggetti imprenditoriali nuovi (le start-up ad alta intensità tecnologica e di conoscenza descritte dal Decreto Crescita 2.0) e offrono strumenti partecipativi al capitale di rischio fino a 5 milioni di euro. L’Italia è la prima nazione a rendere esecutiva la norma europea che disciplina questa possibilità, attraverso un regolamento approntato appunto dalla Consob e valutato attraverso una metodologia anch’essa innovativa: una consultazione online aperta fino al 30 aprile.

Come per altri grandi argomenti di regolazione del mercato, anche sul crowdfunding convivono posizioni antitetiche. C’è chi ritiene che non vada commesso l’errore di introdurre lacci a un meccanismo nato per essere libero e spontaneo. Mutuando strumenti della rete, la proposta e la raccolta dovrebbero autoregolarsi facendo leva sulla reputazione dei progetti e delle piattaforme, secondo il principio di un investimento democratico e accessibile. E c’è chi sottolinea il ruolo che può giocare chi fa intermediazione finanziaria per mestiere (gli istituti di credito e le sim), come garante della bontà dei progetti e dell’onestà di chi gestisce la piattaforma.

Il cuore del problema, e la sfida, sembra dunque costruire un sistema di regole minime che non restringano questo campo d’investimento ai tradizionali intermediatori, dando invece la possibilità a nuovi soggetti di proporsi e farsi riconoscere, puntando su un processo di verifica leggero e trasparente.

Il crowdfunding è un processo di finanziamento collettivo dal basso, in cui più persone contribuiscono con somme di denaro di varia entità a realizzare un progetto in cui credono e di cui divengono sostenitori. La raccolta di capitale avviene prevalentemente con piattaforme online che, con  diverse formule, promuovono i progetti e raccolgono i fondi.
Le piattaforme in uso si dividono in tre modelli: quelle Reward-based, Lending-based, Equity-based che consentono alle start-up di offrire strumenti partecipativi al capitale di rischio attraverso portali online. Oggi sono attive 450 piattaforme di crowdfunding in tutto il mondo. Di queste, 191 sono americane, 44 inglesi, 100 europee. In Italia più di 20 sono  attive o in fase di lancio, per un valore dei progetti finanziati pari a 13 milioni di euro.

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