E’ difficile capire dove si incontrano, si confondono o si allontanano i fragili confini dei paradigmi emersi ed emergenti dell’Open Innovation, della Sharing Economy e della Social Innovation.

La sensazione che prevale in questo periodo storico di grande fermento, è che l’innovazione sia sempre meno chiusa all’interno delle divisioni di R&D delle aziende e nei dipartimenti universitari, e sia sempre più un “affare di tutti”, sempre più social. Aperta a tutti coloro che hanno voglia di condividere idee, competenze, denari e passioni, e sempre più sensibile alle sfide che il sistema del welfare attuale, fiaccato dalla scarsità di risorse economiche, ci impone. Le competenze e le conoscenze dei bisogno sono sempre più ibride e diffuse, difficilmente interamente identificabili all’interno di una singola organizzazione.

Oggi siamo pronti a condividere tutto: dal divano di casa alla macchina, dal fornire lezioni di cucina in cambio di qualche ora di conversazione in lingua, dal preparare una cena per perfetti sconosciuti nel salotto di casa per condividere con loro gli avanzi del nostro frigo, dallo scambiare il proprio lavoro con quello di un altro. Ma soprattutto siamo pronti a mettere a frutto le nostre competenze, le passioni coltivate nel tempo libero, per contribuire con idee o soldi allo sviluppo di progetti altrui, spesso con l’obiettivo di dare un contributo al benessere collettivo.

L’innovazione è sempre più aperta a stimoli provenienti da figure non convenzionali, dalla “folla” come spesso viene detto.  È sempre più frutto della condivisione di idee, di soluzioni geniali, da parte di chi magari nella vita si occupa di tutt’altro.  Ed è sempre più social perché condivisa, grazie ai poteri della rete che tutti connette, tra chi si sente di poter essere protagonista nel dare risposta alle profonde ferite sociali lasciate aperte dalla crisi.

Ecco quindi che le piattaforme di crowdfunding si moltiplicano, i contest di idee e gli hackaton proliferano, le piattaforma di crowdsourcing per raccogliere idee e potenziali soluzioni a problemi irrisolti si fanno sempre più spazio in rete.  È il caso della piattaforma americana di open innovation Innocentives, che raccoglie alcune sfide di ricerca e sviluppo, pubblicandole sul proprio portale al fine di raccogliere idee da chiunque voglia partecipare: tra i progetti più grandi si annoverano lo sviluppo di un biomarker per la ricerca sulla SLA, lo sviluppo di soluzioni per la rimozione del petrolio residuo a seguito di disastri ambientali, o lampade solari tascabili per villaggi in Africa.  O ancora il caso di OpenIDEO, una global community che aspira a risolvere grandi sfide per il bene comune. E infine SkipsoLabs, che in partnership con un’azienda leader mondiale per gli elettrodomestici ha lanciato un Open Innovation Challenges rivolto a industrie, start-up , centri di ricerca e università.

Il modello a tripla elica, in cui università, impresa e PA erano i partners dei progetti di innovazione lascia spazio a ciò che spesso è definito un modello ad elica multipla, aperto a condividere problemi, idee e soluzioni con la community, anche al fine di contribuire al miglioramento della qualità della vita della nostra società.